DIFENDI LA LIBERTà FINO ALLA MORTE



DIFENDI LA LIBERTà FINO ALLA MORTE

Jan Hus e la sua ricerca della Chiesa purificata, questa volta a Milano

Qualche mese fa ci saltò all’occhio che per Jan Hus il prossimo 6 luglio sarebbe trascorso il 600 anniversario del suo martirio. Suggerii anzi riportai in modo informale la cosa al Console della Repubblica Ceca a Milano, dottor Giorgio Franco Aletti   quando ancora non si aveva sentore di quello che sarebbe stato un evento primario a livello internazionale. Ovviamente da quel momento si mise in moto una macchina organizzativa  che ha coinvolto dallo stesso Console al Prefetto della Bibblioteca Ambrosiana mons. Franco Buzzi (a suo titolo una dozzina di testi sul protestantesimo per non citare la sezione slavistica della stessa Ambrosiana). Tantissimi professori delle varie discipline e Università si complimentarono per l’iniziativa. Ma come disse mons. Buzzi “non si può fare un incontro sugli Hussiti senza gli Hussiti”. E così ricevemmo l’adesione del Vescovo di Plzeň Filip Štojdl e del suo Vicario Lukáš Bujna  che assieme alla presenza della prof.ssa Marina Benedetti  e don Gianluigi Panzeri diedero un impulso qualificante all’incontro. Chiaramente la presenza dell’Ambasciatore a Roma della Repubblica Ceca presso la Santa sede dottor Pavel Vošalík , completò il quadro. La Biblioteca Ambrosiana è il luogo del dialogo. E‘ importante che sul suolo cattolico si parli di Jan Hus e “dell’atteggiamento della richiesta di perdono della Chiesa cattolica,  della guarigione della memoria storica”. La Ambrosiana, da par suo, espose alcuni preziosi volumi da lei custoditi su Jan Hus e una lunga e specifica serie di diapositive ha accompagnato i vari argomenti. Tutti gli argomenti si sono svolti nelle due lingue e questo ha “allungato” l’incontro che grazie appunto alla qualità di questi interventi non ha pesato sulla pazienza degli ascoltatori.  Questo incontro (il primo) ha fatto da battistrada ai prossimi due. Il primo la prossima settimana a Roma in Vaticano e il secondo quello principale a Praga il 6 luglio 2015, data appunto del martirio di Jan Hus a Costanza.
Ha condotto la prof.sa Růžena Růžičková, che ha superato l’iniziale emozione per questo evento di portata storica e toni toccanti della omelia di Lukáš   Bujna, Vicario di Plzeň durante la preghiera nella Chiesa del Santo Sepolcro adiacente alla Ambrosiana che ha preceduto l’incontro.
L’Ambasciatore della Repubblica Ceca presso la Santa Sede, dottor Pavel Vošalík, ha esordito precisando che “Non è  Jan Hus che ci divide ma le errate immagini di Jan Hus”. Poi ha portato la notizia del prossimo incontro a Roma e che dal 05.06.2015 è stata alzata sul castello di Praga la bandiera con il calice, come 80 anni fa fece il primo presidente della Repubblica Cecoslovacca T.G.Masaryk. Allora il legato della Santa Sede ha lasciato la Cecoslovacchia per protesta. Oggi invece ha partecipato al rito anche un sacerdote cattolico.
Il console Giorgio F. Aletti ha salutato con l’augurio  Il calice = il sangue di Cristo sul castello di Praga dove per 40 anni aveva la sede il governo comunista: è strepitoso. Il calice come un simbolo che unisce” .  Questo signore è un Console molto vicino al popolo ceco e non trascura nessun fatto e a differenza dei consoli precedenti ha un senso di umanità che pur viaggiando sulla cifra diplomatica sa dialogare con entrambi i cittadini esaltando non solo la cultura Ceca ma le migliaia di sfaccettature di un popolo che porta ancora la maestà di un passato glorioso, che non ha perso per nulla le qualità imprenditoriali e creative recuperando ciò che ha dovuto lasciare durante il cammino difficoltoso degli anni recenti.
Si è data la parola al Vescovo Hussita di Plzeň Filip Štojdl che non ha reclamato riabilitazioni clamorose di Jan Hus ma ha fatta sua una bellissima frase che circolava nella sala delle conferenze: ”oggi noi Cattolici ci sentiamo un po’ Hussiti” a cui ha risposto “oggi noi Hussiti ci sentiamo un po´più Cattolici”.
Va assolutamente analizzato l’intervento della prof.ssa Marina Benedetti  per il suo contenuto come fosse una lezione, un saggio  di  Storia del Cristianesimo all’Università Statale di Milano. La stessa ci ha gratificata della recente scoperta di scritti e lettere di Jan Hus in special modo come fosse presente nella Milano del tempo.
Don Gianluigi PANZERI, il conoscitore profondo non solo dello “affaire Jan Hus”  ma anche della storia Boema a cui dobbiamo una meravigliosa guida della Repubblica Ceca ha scavato dettagliatamente ripercorrendo tutto il percorso storico sino ad oggi del dramma di Jan Hus.  
Appassionata la testimonianza del Vicario che già ci aveva colpito con la sua omelia. Il Vicario Lukáš Bujna  ha concluso gli interventi. 
Hanno tradotto Nina Dezan e Jarka Janikova
Cliccando su continua si accede a tutti gli interventi
CONTINUA….
 I testi sono stati letti e tradotti con traduzione immediata e di questo ringraziamo le traduttrici per la loro capacità e immediatezza.

Omelia in ricordo di Maestro Jan Hus
Di Lukáš   Bujna
Vicario del Vescovo di Plzeň della Chiesa cecoslovacca hussita

Nell’ottavo capitolo del  Vangelo di san Marco leggiamo che  Gesù diceva che avrebbe dovuto soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacedoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Parlava apertamente e Pietro,  prendendolo in disparte, si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltandosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: „Va‘ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio,  ma secondo gli uomini“. Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: „Se qualcuno vuol venire dietro a me,  rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.“  Oggi ci incontriamo  per ricordare la vita, l’opera, il sacrificio e l’insegnamento di una delle più significative figure della storia ceca. Il mio compito non è tessere lodi e incensare Jan Hus, anche se si tratta di un personaggio importante che ha ricoperto  incarichi rilevanti come il rettorato dell‘Università di Praga, che è stato predicatore nella cappella di Betlemme e riformatore della Chiesa. Dal momento però che  compito di un predicatore è spiegare la Bibbia e aiutarne l’attualizzazione, io credo che, proprio così facendo, realizziamo uno dei principi fondamentali del pensiero di Hus. Egli sosteneva che ciò che è vero o falso non lo decide il pensiero dell‘uomo ma la Saggezza di Dio che parla a noi attraverso il Vangelo. Per questo se pensiamo a Jan Hus, la nostra riflessione non può andare in una direzione diversa dalla meditazione del tesoro spirituale depositato nella Bibbia. Ne „La nave infernale“, opera teatrale di un moralista portoghese del  sedicesimo secolo, viene descritta la situazione delle anime che dopo la morte corporale arrivano nel porto dove sono ancorati due vascelli: il primo partirà per il paradiso, il secondo per l’inferno. Tutti si recano verso le navi portando ciò su cui poggiava, nella vita, la propria speranza, ciò che dava senso alla vita terrena. Il nobile portava il suo atteggiamento arrogante che aveva caratterizzato la sua appartenenza alla classe aristocratica, il calzolaio il sacco pieno di scarpe, l’avvocato un baule pieno di atti giudiziari con cui pretende di dimostrare di essere indispensabile al Regno dei cieli. Un matto arriva con le mani vuote perché era stato uomo troppo semplice per accumulare nella sua vita  beni o posizione sociale. E solo questo matto, che sembrava aver avuto una vita senza senso, lui solo entra sulla nave angelica.
La disgrazia delle anime umane consiste nel fatto che hanno trovato vita in cose morte, che hanno impegnato tutte le loro forze vitali in qualcosa che porta in sé il segno della morte. E‘ tipicamente umano costruirsi una solida carriera, assicurarsi uno stardard di vita elevato e dirsi – ho trovato ciò che mi dà vita! Jan Hus da giovane non ragionava diversamente. Amava vestirsi bene, giocava  d’azzardo ai dadi, sfruttava la sua apparteneza alla classe sacerdotale per ottenere  benessere. Col sacerdozio poteva godere di una vita tranquilla che lo assicurava dal pericolo della povertà. Poteva godere di prebende. Poteva vivere in tranquillità, al sicuro. Ma il suo servizio sacerdotale lo obbligò anche  ad annunciare la Parola di Dio e questo lo costrinse a cambiare, a  rinunciare  a cercare prima di tutto il proprio interesse. Per Jan Hus non fu il rogo nella città di Costanza che mise termine alla sua vita perché egli, già da tempo, non considerava  di sua proprietà la propria vita: aveva già  consegnato la propria vita a Cristo, morto e il terzo giorno risorto. Se oggi il testo del Vangelo ci dice che è da cristiani „ perdere la propria vita „  bisogna  ben spiegare cosa si intende per  „propria“. Spesso sentiamo: E’proprio mia la vita, me la organizzo come pare e piace a me! Ma essere uomo non significa solo vivere, significa vivere per gli altri. Il destino dell’uomo è l’eternità che lo si voglia o no. Per questo c’è bisogno di vivere per qualcuno che è eterno, cioè per  il Signore Gesù Cristo, risorto e glorificato. Nell’omelia che Hus non ha potuto pronunciare al concilio di Costanza  intitolata „Il discorso sulla pace“ si ripete il pensiero che la riconciliazione con Dio porta alla riconciliazione con gli uomini e con se stessi. Chi si innamora di Cristo non può odiare gli uomini  e non può disprezzare il proprio valore e la propria dignità che gli sono dati da Dio. Tutto si rinnova, tutto acquista un nuovo volto quando riconosciamo il valore di noi stessi come figli di Dio, figli che considerano il Signore come Padre e Gesù come fratello primogenito. La nostra grandezza sta nell‘essere ammessi nella famiglia di Dio, quella che Dio ha costruito come ponte sopra l’abisso fra Lui e noi mediante la croce di Cristo.
Mi è capitato in mano recentemente un libricino particolare di un autore cattolico Julien Green. Parla dei cosidetti cattolici ‚colpiti dalla peste‘, cioè di quei cristiani che vivono senza sapere niente della vita, della realtà. Non riguarda solo gli appartenenti ad un’unica confessione il fatto che noi cristiani invece dell’acqua viva ogni tanto ricordiamo una ferita simile a quella della peste. Le parole di questo libro possiamo prenderle come sfida: „Puoi scegliere fra il cielo e l’inferno. In ogni caso sei immortale. Nessuno ti ha chiesto se lo vuoi o no. Forse l’avresti rifiutato: il cielo ti spinge ad essere grande e sei grande contro la tua volontà. La tua libertà non vi partecipa. Con la tua natura, tu uomo, sei mediocre e  sei capace di desiderare solo atti mediocri ma con la tua natura soprannaturale sei grande e sei costretto a chiedere cose grandi. La tua grandezza la capirai solo nell’inferno o nel cielo poiché il mondo ti acceca e c’è bisogno di lasciare questo mondo per sapere chi sei. Tutta la tua vita ti si rivela nella luce della Rivelazione divina. Sei tentato dal bene in ogni ora della giornata e questo bene è la saggezza, l’illuminazione della mente e questo è la forma più sicura del benessere terreno. Soccombere a questa tentazione verso il bene è molto facile!“ Amici, anche nell’ora di questa celebrazione una flebile voce parla ai nostri cuori. E‘ una voce sottile e soave come la brezza. Ci parla del Dio buono che è amore. Lasciamoci guidare da questa voce e intraprendiamo la vita per la via stretta! 

Superfice e profondità di Jan Hus
Filip Michael Štojdl
biskup plzeňský
Vescovo di Plzeň della Chiesa cecoslovacca hussita

Esistono solo due approcci al personaggio così rispettabile come è senza dubbio il martire di Costanza, Jan Hus. Il primo serve per concentrare su Jan Hus tutti i propri complessi, preoccupazioni e angosce e farne una specie di frusta. Un atteggiamento così poteva capirsi forse all’epoca di Risorgimento boemo. Invece l’ atteggiamento dei comunisti cecoslovacchi negli anni cinquanta e poi nell’epoca di cosiddetta Normalizzazione (dopo l’ invasione del 1968) non si può per niente perdonare. Hanno abusato di Hus per la propaganda della loro ideologia perversa ma hanno commesso un crimine ancora più orribile. Nella popolazione cecoslovacca i milioni di bambini imparavano a conoscere a scuola Jan Hus privo di  fede in Gesù Cristo. Le parole come verità e amore nell’ insegnamento di Hus non danno nessun senso se non comprendiamo che per il martire di Costanza queste parole hanno la fonte proprio nelle mani, costato e piedi crocifissi di Gesù Cristo. Oggi vorrei parlare del secondo approccio verso Jan Hus, di una via che è assolutamente  fondamentale anche per la mia vita. Questo modo si basa sulla esperienza di sé. Se percepiamo Jan Hus in qualche modo seriamente, poi non possiamo evitare l’ esperienza in cui cominciamo a misurarci con il suo insegnamento e la sua vita. Questo modo significa che smettiamo di vedere Jan Hus come un eroe di un triler banale come l’ha presentato purtroppo la serie televisiva in tre puntate del regista Jiří Svoboda e della scrittrice Eva Kantůrková,  e lo accettiamo come un discepolo di Cristo. Quindi come uno che per il lungo periodo valuta se fuggire la croce, colui che lascia le certezze della vita e gradualmente (fino all’ultimo momento) si abbandona nelle mani di Dio. Desidera la verità ma nello stesso momento percepisce pienamente anche la miseria e il dolore che vive misticamente chiunque decide di seguire Gesù Cristo. Negli ultimi giorni sento parlare molta gente in superlativi di Jan Hus. I politici, gli storici e i rappresentanti della Chiesa, parlano e parlano. Invece basta abbondantemente ascoltare le parole che ho mai detto su Jan di Husinec durante tutta la mia vita. Mi rendo perfettamente conto come è facile scivolare, nella leggerezza di essere, sulla superficie delle parole così profonde come è proprio la verità e l’amore. Quanto è imbarazzante sentire le parole sulla verità e sull’amore dalla bocca delle persone che sono piene di sé.  Quando nel 1989 Václav Havel pronunciò la memorabile frase: “La verità e l’ amore devono vincere sopra la menzogna e l’ odio”, mi sono reso conto quanta strada bisognerà percorrere perché queste parole prendano vita. Ma finché non sarà garante di questa frase la Chiesa ma solo uno Stato secolarizzato cadranno nelle paludi del nihilismo dove affonda oggi tutta l’Europa. La verità e l’amore, senza Gesù Cristo non significano niente, sono parole vuote e delle chiacchiere. Tanto più a lungo percorriamo la via con Jan Hus tanto più dovremmo affrontare simili domande: “Sono disposto a lasciare tutto e seguire Gesù Cristo?” oppure “Riesco distinguere nella mia vita ancora le maschere e la finzione dalla realtà?”  Il poeta e filosofo Ivan Martin Jirouš si poneva simili domande con il suo modo tipico e provocante: “Vanno a votare tornando dalla chiesa – vanno a messa direttamente dalle cabine elettorali – perché allora Sion? – a che serve il monte Oreb? – Oh, san Giovanni di Husinec, questi cristiani mi fanno scifo.” L’uomo che ha perso l’autoriflessione diventa facilmente un fariseo al quale è tutto chiaro, è autosufficiente con i suoi pensieri che si è inventato da solo e non riesce guardare chiaramente se stesso. L’uomo deve tornare e ricercare la speranza non con l’odio ma con l’umiltà. Esattamente come l’ha espresso Mahatma Gandhi che esortò: “quando perdo la speranza mi ricordo che nella storia ha vinto sempre la via della verità e dell’amore.” Una simile autoriflessione deve oggi cercare anche la Chiesa che deve smettere di cercare ciò che è attraente per la gente (nella speranza che tornano i fiumi di gente nel seno della Chiesa) ma deve tornare al largo della conoscenza di se stessa. Sulla bandiera dei presidenti cecoslovacchi e cechi troverete la scritta: “La verità vince”. Sono contento che la bandiera dei nostri presidenti è sempre uguale poiché è durata oltre il mandato di ognuno di loro e così esprime la realtà che trascende largamente tutti gli umanismi, democratismi e il nostro ‘reppublikanismo’. La verità di Jan Hus è vincente se è identica alla verità di Cristo. Il sacrificio di Hus e il suo seguire Cristo fa parte del mosaico dei mistici, santi e martiri europei e mondiali che ci serve per capire che la nostra vita non avrà mai un senso se non sarà autentica.
 
Cari amici, sorelle e fratelli. Vi invito a trovar, accanto ai “festeggiamenti” grandiosi e ostentati, per sé e per i propri cari un luogo tranquillo dove poter incontrare la forza di Gesù che cura e guarisce.  Poiché senza di essa non siamo nulla e non possiamo seguire il nostro Maestro e Signore. Il nostro Paese, le nostre famiglie e la nostra vita hanno bisogno di uno spirito coraggioso e di una fede vera altrimenti si disgregano e svaniscono.




La riscoperta di JAN HUS nella Chiesa Cattolica
«Perciò, fedele cristiano, cerca la verità, ascolta la verità, apprendi la verità, ama la verità, dì la verità, attieniti alla verità, difendi la verità fino alla morte: perché la verità ti farà libero dal peccato, dal demonio, dalla morte dell'anima e in ultimo dalla morte eterna»
(Jan Hus, Spiegazione della Confessione di fede, 1412)
Gian Luigi Panzeri
«Perciò nella mia patria, sembra che la Chiesa cattolica stia ora espiando dolorosamente i peccati e gli errori commessi, nel passato in suo nome, contro la libertà di coscienza, come la morte del sacerdote Giovanni Hus, bruciato vivo nel sec. XV, e l’obbligo imposto, nel sec. XVII, a gran parte del popolo boemo di convertirsi al cattolicesimo, in forza del principio cuius regio eius religio. Con questi atti il braccio secolare, volendo o pretendendo di servire la Chiesa cattolica, causò in realtà una ferita profonda nel cuore di quel popolo. Questo trauma costituì un grande ostacolo al progresso della vita spirituale, offrendo ancor oggi, ai nemici della Chiesa, pretesto per attaccarla.  Anche la storia, quindi, ci ammonisce a proporre in questo Concilio, chiaramente senza restrizione alcuna – altrimenti saprebbe di opportunismo – il principio della libertà religiosa e della libertà di coscienza. Se ciò sarà fatto, e per giunta in spirito di penitenza per i peccati commessi in passato in questo campo, l’autorità morale della nostra Chiesa sarà tenuta in grande considerazione, e ciò ridonderà a bene dei popoli. Anche coloro che oggi opprimono la libertà di coscienza a danno della Chiesa, si sentiranno come isolati, umiliati e confusi, ai nostri giorni, al cospetto degli uomini di buona volontà: fatto salutare, perché potrebbe costituire l’inizio del pentimento. E questo nostro concilio acquisterà maggior forza morale, intervenendo, con speranza di buon risultato, in favore dei fratelli che soffrono persecuzione»[1].
Sono queste le parole pronunciate dall’Arcivescovo di Praga Joseph Beran (1888-1969) alla 131^ Congregazione Generale del Concilio Vaticano II, il 20 settembre 1965, per promuovere l’approvazione della dichiarazione Dignitatis humanae, sulla libertà religiosa con la quale auspicava la riabilitazione di Jan Hus. Beran che dal 19 giugno 1949 aveva conosciuto l’internamento coatto nel palazzo arcivescovile di Praga e in altre località; nel febbraio 1965 il Comitato Centrale del Partito Comunista gli concesse di raggiungere Roma – dove poi rimase esiliato - per essere creato Cardinale il 22 febbraio e partecipare all’ultima sessione del Concilio.  Al Concilio si segnalano altre due menzioni di Jan Hus[2], ma di segno opposto a quella di Mons. Beran: la prima venne fatta dal Cardinale Ottaviani il 30 ottobre 1962 (Congregatio X) quando sollevò la questione del rito utraquista e dell’utilizzo della lingua volgare per la celebrazione della Messa[3]; la seconda risale all’Arcivescovo Reginaldo Addazi, domenicano, il quale citò il maestro boemo per prenderne le distanze in merito alla formula di chiesa - già condannata al Concilio di Costanza - proposta nel De Ecclesia come assemblea di predestinati dalla quale sono però esclusi i preconosciuti, formula, questa, che non rientrava nella tomistica Congregationem fidelium e che pertanto era da rifiutare[4]. 
L’interesse e la riabilitazione di Hus, in realtà, non era necessaria nell’ambito mitteleuropeo, dove la sua immagine ha sempre ispirato simpatia e comprensione, nei circoli protestanti profonda venerazione, in ambito marxista ammirazione per il movimento rivoluzionario che da lui prese avvio[5].  Ancora agli inizi del ‘900 quando si volle in Piazza della Città Vecchia a Praga un monumento che volesse visivamente affermare l’identità nazionale di un popolo si pensò ad un monumento proprio a Jan Hus  che venne realizzato da Ladislav Saloun nel 1915 nel quale campeggia la figura del riformatore nazionale da cui traspare la forza morale dell’uomo che rinunciò alla propria vita piuttosto che alle proprie idee. Era in questo clima che nel 1918, il 28 ottobre, – caduto l’impero austro-ungarico - veniva proclamata la Repubblica Cecoslovacca e il mese seguente veniva eletto il primo Presidente della Repubblica Parlamentare, Tomas Garrigue Masarik che fece suo lo slogan “Via da Vienna e via da Roma”, dove il “Via da Roma” era incarnato molto bene dalla figura del maestro boemo.
Si imponeva dunque una riflessione della Chiesa Cattolica sul riformatore Jan Hus, infatti la chiesa cattolica della Boemia e Moravia nello sforzo di ricattolicizzazione operato per lo più dai Gesuiti sotto l’egida degli Asburgo volle contrapporre, soprattutto nel XVI e XVII secolo, alla dilagante popolarità di Jan Hus additato come eretico e dunque martire della verità per volontà della Chiesa di Roma, la figura di San Giovanni Nepomuceno, martire di Venceslao IV, “re fannullone”. 
La riabilitazione della figura di Jan Hus in ambito cattolico è dunque piuttosto recente. Aveva preso inizio con gli studi del benedettino belga Paul De Vooght che nel 1960 aveva pubblicato l’ Hérésie de Jean Huss[6], opera con la quale tendeva a far rientrare Hus nelle linee dell’ortodossia, anche le 30 proposizioni condannate[7] venivano messe a confronto con altre ricavate dalla predicazione di Hus per darne un’interpretazione accomodante.  In Italia, poi, tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso ci fu un risveglio di interesse per la figura di Jan Hus soprattutto, anche se non esclusivamente, nell’ambito del confronto con la tradizione Valdese alla ricerca di punti di contatto come ha messo ben in luce lo storico Armando Comi[8] nella sua opera Verità e Anticristo, L’eresia di Jan Hus, nella quale segnala in modo particolare gli scritti di Amedeo Molnàr, ma anche di Romolo Cegna, Francesco Leoncini, Luigi Santini.
Comunque la Chiesa Cattolica ha conosciuto un nuovo interesse per la figura del riformatore boemo Jan Hus soprattutto dopo l’autorevole intervento dell’Arcivescovo Beran che va letto nel contesto delle linee guida dettate dal papa Giovanni XXIII (1958-1963) quando, nel discorso di inaugurazione del Concilio (11 ottobre 1962), aveva detto «La Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che l’arma della severità»[9].  Il Papa Paolo VI (1963-1978) che sarà guida del Concilio Vaticano II dopo Giovanni XXIII  non ebbe modo di intervenire esplicitamente sulla figura di Jan Hus, ma promulgò il 21 novembre 1964 la Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium nella quale al n. 8 afferma: «La Chiesa, che comprende nel suo seno i peccatori, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento».  Porta la stessa data il Decreto sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, nel quale al n. 1 si afferma che cresce oggi in tutto il mondo lo sforzo per il superamento degli ostacoli reciproci, i quali si oppongono apertamente alla volontà di Cristo, ma sono anche di scandalo al mondo e danneggiano nostra comune missione, cioè la predicazione del Vangelo ad ogni creatura. Il 7 dicembre 1965 il Papa Paolo VI promulgò, quindi, la Dichiarazione sulla libertà religiosa, dal titolo Dignitatis Humanae per la quale era intervenuto, come si è detto, anche Mons. Beran. Nel testo si afferma che nessuna potenza umana può costringere ad agire contro la propria coscienza e nessuno può essere impedito ad agire in conformità con la sua coscienza.  Ogni costrizione esercitata dagli uomini è contro la verità, perché intralcia la ricerca del vero a cui ogni uomo ha diritto in forza della sua dignità.
Il giorno 20 settembre 1965 tra gli uditori dell’intervento di Mons. Beran vi era anche il giovane Vescovo di Cracovia, Mons. Karol Wojtyla, che rimase impressionato da quelle “accorate parole”.  Giovanni Paolo II (1978-2005) il 21 aprile 1990 nel suo primo viaggio apostolico nella Repubblica Federativa Ceca e Slovacca, nella Sala intitolata a Ladislao Jagellone del castello di Praga, all’incontro col mondo della cultura, potrà dire: «Ricordo che, al Concilio Vaticano II, l’Arcivescovo ceco, Cardinale Giuseppe Beran, intervenne con forza per difendere i principi della libertà religiosa e della tolleranza, facendo riferimento con parole accorate alla vicenda del sacerdote boemo Giovanni Hus e deplorando gli eccessi a cui allora e dopo ci si abbandonò. Ho ancora nella mia mente quelle parole del Cardinale Arcivescovo di Praga nei riguardi di questo sacerdote, che tanta importanza ha avuto nella storia religiosa e culturale del popolo boemo. Sarà compito degli esperti - in primo luogo dei teologi cechi - definire più esattamente il posto che Giovanni Hus occupa tra i riformatori della Chiesa, accanto ad altre note figure riformatrici del Medio Evo boemo, come Tommaso da Stitné e Giovanni Milic da Kromeriz. Tuttavia, al di là delle convinzioni teologiche da lui propugnate, non si possono negare ad Hus integrità di vita personale e impegno per l’istruzione e l’educazione morale della Nazione».
In risposta all’invito del Papa, venne costituita sotto la Presidenza del Cardinale di Praga Miloslav Vlk, il 1 giugno 1993, la Commissione ecumenica "Husovská", Commissione per lo studio delle questioni, riguardanti la figura, la vita e le opere di Giovanni Hus, presso la Conferenza Episcopale Ceca che ha lavorato nella direzione indicata in un clima di fraternità per la riconciliazione Cattolica con la Chiesa Boema. Tale Commissione intende contribuire, attraverso il lavoro scientifico di 26 insigni specialisti nel campo di ricerca storica e teologica, alla riconciliazione della memoria storica delle chiese nel caso specifico di questo riformatore boemo del primo Quattrocento.
In questo contesto acquista importanza anche la Conferenza dedicata a Jan Hus in territorio tedesco, a Bayreuth, dal 22 al 26 settembre 1993, a cui venne invitato, in rappresentanza della Santa Sede, il Card. Edward Idris Cassidy, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.
In seguito, il 7 marzo 1994 Giovanni Paolo II al Presidente della Repubblica ceca Vaclav Havel che si era recato in Vaticano in visita Ufficiale, nel discorso[10] disse:  «Tali valori sono stati poi messi in suggestiva luce dai santi, che formano una costellazione stupenda nella storia del Paese. In Ludmila, Venceslao, Adalberto, Hroznata, Agnese, Giovanni di Nepomuk, ha preso netto rilievo l'aspirazione alla genuinità e all'autenticità della fede cristiana, propria della loro terra. E, in un certo modo, al di là delle sue dottrine, questo stesso anelito ha anche mosso l'azione riformatrice di Jan Hus, con esiti purtroppo infausti per la Chiesa e per la Nazione. Gli studi in atto sulla sua figura potranno contribuire a una positiva e costruttiva visione del problema, che ha tanto turbato la storia del Paese. Questo tesoro di spiritualità e di cultura cristiana è alla base della vostra storia».  Il Papa, quindi, promise al Presidente la giusta rivalutazione di Hus da parte della chiesa cattolica entro l'anno 2000.
Giovanni Paolo II nel suo secondo viaggio in terra Ceca non ebbe esitazioni a pronunciare una delle “confessioni” più solenni a Olomouc in Moravia il 20 maggio 1995: «Oggi io, Papa della Chiesa di Roma, a nome di tutti i cattolici, chiedo perdono dei torti inflitti ai non cattolici nel corso della storia tribolata di queste genti; e al tempo stesso assicuro il perdono della Chiesa cattolica per quello che di male hanno patto i suoi figli».  Di qualche giorno dopo è l’Enciclica di Papa Wojtyla Ut unum sint nella quale formula questo appello: «La Chiesa cattolica deve entrare in quello che si potrebbe chiamare “dialogo della conversione”, nel quale è posto il fondamento interiore del dialogo ecumenico. In tale dialogo, che si compie davanti a Dio, ciascuno deve ricercare i propri torti, confessare le sue colpe, e rimettere se stesso nelle mani di colui che è l’Intercessore presso il Padre, Gesù Cristo» (n. 82).
Nel suo terzo viaggio apostolico in Cecoslovacchia Giovanni Paolo II, nel corso della preghiera ecumenica celebrata nella Cattedrale di San Vito nel pomeriggio di domenica 27 aprile 1997, arditamente, osò paragonare il martirio di Sant’Adalberto – motivo del suo pellegrinaggio essendo stato martirizzato il 23 aprile 997 – a quello del prete cattolico Jan Hus condannato al rogo nell’ambito del Concilio di Costanza il 6 luglio 1415. Il papa collegò i due personaggi a tutti gli altri che in passato hanno sofferto duramente a causa della reciproca mancanza di carità, che ha come fondamento la ricerca della verità, la quella, disse il Papa, «ci fa sentire peccatori. Ci siamo divisi a motivo di reciproche incomprensioni dovute spesso a diffidenza, se non a inimicizia.  Abbiamo peccato, ci siamo allontanati dallo Spirito di Cristo … questa che noi viviamo è l’ora della speranza». Nella conclusione del discorso ecumenico disse: «Molto lavoro resta da compiere, ci sono opportunità da non perdere, doni celesti da non trascurare per rispondere a ciò che il Signore attende da tutti e da ciascuno dei battezzati. E' importante che tutte le Chiese si interessino alla dimensione teologica del dialogo ecumenico e perseverino in un esame leale e serio delle crescenti convergenze. Occorre cercare l'unità come la vuole il Signore e, per questo, è necessario convertirsi sempre più alle esigenze del suo Regno».
Nel cammino verso la riscoperta della figura del riformatore boemo Jan Hus si segnala, poi, il Convegno internazionale di studi organizzato a Roma dal Comitato Centrale del Grande Giubileo dell’anno 2000 e dalla Conferenza Episcopale Ceca, in collaborazione con l’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca e l’Università di Praga, presso la Pontificia Università Lateranense nei giorni 15-17 dicembre 1999.  A conclusione del Convegno il Papa Giovanni Paolo II, nella Sala del Concistoro, pronunciò un vero mea culpa nei riguardi della sorte inflitta a Jan Hus: «Oggi, alla vigilia del grande giubileo sento il dovere di esprimere il profondo rammarico per la crudele morte inflitta a Jan Hus e per la conseguente ferita, fonte di conflitti e divisioni, che fu in tal modo aperta nelle menti e nei cuori del popolo boemo … la fede non ha nulla da temere dall’impegno della ricerca storica, dal momento che la ricerca è, in ultima analisi, protesa verso la verità che ha in Dio la sua fonte … è vero che è molto difficile raggiungere un’analisi della storia assolutamente obiettiva, dato che le convinzioni, i valori e le esperienze personali ne influenzano inevitabilmente lo studio e l’esposizione.  Questo non significa, tuttavia, che non si possa arrivare ad una rievocazione degli eventi storici che sia realmente imparziale e, come tale, vera e liberante.  La verità può rivelarsi anche scomoda quando ci chiede di abbandonare i nostri radicati pregiudizi e stereotipi.  Ciò vale per le Chiese e Comunità ecclesiali, come anche per le Nazioni e per gli individui. Tuttavia, la verità che ci rende liberi dall’errore è anche la verità che ci fa liberi per amare … una figura come quella di Jan Hus, che è stata un grande punto di contesa in passato, può ora diventare un soggetto di dialogo, di confronto e di approfondimento in comune». Il presidente della Repubblica Vaclav Havel fece poi eco alle parole del Papa (“Tutto indica che il grande contributo di Jan Hus alla storia d’Europa è quello del principio di responsabilità individuale”) e volle consegnare agli organizzatori, in segno di riconoscenza per i lavori svolti attorno alla figura di Jan Hus, Professore e poi Rettore dell’Università Carlo di Praga, la Medaglia d’oro della stessa Università.
Il 12 marzo 2000 il Papa Giovanni Paolo II volle celebrare la “Giornata del Perdono” come “purificazione della memoria”, forse l’eredità più originale e impegnativa del suo pontificato[11]. “Confessione delle colpe e richiesta di
storiche. Era necessario il Concilio Vaticano II e la sua dottrina della Chiesa, ricondotta alle fonti bibliche, per rendere possibile la pedagogia del perdono attuata da Giovanni Paolo II.
perdono” era intitolata la speciale liturgia che si celebrò quel giorno. Sette rappresentanti della Curia romana leggevano altrettanti “invitatori”, ai quali rispondeva il Papa con sette “orazioni”, riguardanti i “peccati in generale”, le “colpe nel servizio della verità”, i “peccati che hanno compromesso l’unità del Corpo di Cristo”, le “colpe nei confronti di Israele”, le “colpe commesse con comportamenti contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni”, i “peccati che hanno ferito la dignità della donna e l’unità del genere umano”, i “peccati nel campo dei diritti fondamentali della persona”.
Quando poi il teologo Card. Joseph Ratzinger, che dal 1981 era stato sempre al fianco di Giovanni Paolo II come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e che nel suo ruolo ha accompagnato e condiviso le scelte del pontefice, a sua volta divenne Papa col nome di Benedetto XVI (2005-2013) continuò nella linea del suo predecessore anche se non abbiamo esplicite dichiarazioni riguardanti Jan Hus.  Quando si recò in Viaggio Apostolico nella Repubblica Ceca dal 26 al 28 settembre 2009 all’incontro ecumenico tenuto nell’Arcivescovado (27 settembre) ebbe a dire: «Il termine salvezza è ricco di significati, tuttavia esprime qualche cosa di fondamentale ed universale dell’anelito umano verso la felicità e la pienezza. Esso allude al desiderio ardente di riconciliazione e di comunione che spontaneamente sgorga nelle profondità dello spirito umano. È la verità centrale del Vangelo e l’obiettivo verso cui è diretto ogni sforzo di evangelizzazione e di cura pastorale. Ed è il criterio sul quale i cristiani tornano sempre a focalizzarsi, nel loro impegno per sanare le ferite delle divisioni del passato. A tal fine – come il Dr. Černý ha notato – la Santa Sede ha organizzato un Convegno internazionale nel 1999 su Jan Hus per facilitare l’analisi della complessa e travagliata storia religiosa in questa nazione e più in generale in Europa (cfr Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Internazionale su Giovanni Hus, 1999).  Prego perché tali iniziative ecumeniche portino frutto non solo per proseguire il cammino dell’unità dei cristiani, ma per il bene dell’intera società europea».
Il 2 maggio u.s. il Papa Francesco ha nominato il cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo emerito di Praga e artefice della Commissione ecumenica "Husovská", suo Inviato speciale alle celebrazioni del 600° anniversario della morte di Jan Hus. Le celebrazioni sono in programma nella capitale della Repubblica Ceca nei giorni 5 e 6 luglio 2015. 
                                              Verita´ problematica di Jan Hus
Di Lukas Bujna
Dal tempo di miei studi all’Università, da quando ho letto per la prima volta le leggende dei santi cechi Cirillo e Metodio che hanno portato la fede ai popoli slavi, essi sono rimasti vicini al mio cuore. Tutti e due sono legati all’Italia, perché qui si sono recati dal papa per difendere il loro operato. Cirillo è
sepolto a Roma. Questi santi fratelli hanno posto le basi della tradizione nelle cui radici c’è il desiderio di unità, di un‘unità dove non è soffocata  nessuna voce. Cirillo e Metodio introducono le Terre Boeme
nella storia culturale e spirituale d’Europa. Il cuore del popolo ceco – e forse anche quello d’Europa – batte pienamente solo  quando corre in esso, in  misura equilibrata, il sangue latino e il sangue slavo
lo spirito dell‘Occidente e quello d’Oriente. Il mio rapporto verso il Maestro Jan Hus è un po‘ meno univoco forse anche per il fatto che la sua personalità emerge nella storia europea più per le sue caratteristiche umane. Si è cercato di farne una leggenda – idealizzandolo o viveversa demonizzandolo. Il Maestro Jan Hus non è il prototipo mitizzato di martire o di  eretico! E‘ fatto di carne e ossa e, nella sua spasmodica lotta per la verità  alla quale è fedele fino alla morte, agisce  e si muove utilizzando tutte le sue forze fino a che, schiacciato in un angolo, stremato, è spinto là da dove non c’è via di ritorno. 
Il Prof. Jiri Kejř, esimio conoscitore di Jan Hus, scomparso quest’anno, nel suo importante libro riguardante il processo scrisse: „La linearità di Hus e la sua ferma convinzione di essere nel giusto l’hanno portato all’acutizzazione della sua controversia. Fu spinto a difendere opinioni sempre più radicali, trascinato in polemiche sempre più complicate e portato verso la decisione di subire persino la morte al rogo. Il denominatore comune di tutte le difese di Hus è sicuramente la sua sincera convinzione che si fa guidare in tutto dalla legge di Dio. I suoi oppositori e giudici non rispettano questa legge e, per difendere gli imperativi biblici, per lui è meglio subire la morte che violarli.“  La lotta ostinata per la verità ha lasciato il segno sullo stato d’animo di Jan Hus. Il suo destino, all’insegna della tragica incomprensione finale, è paragonabile persino al destino del Figlio di Dio sofferente. La sua lotta si sovrappone alla lotta di Cristo. Come poteva abdicare a tale misura di identificazione se nemmeno Cristo ha rinunciato alla verità di Dio davanti a Pilato, Erode, il Sinedrio degli ebrei, l’orrore della croce? 
Nel Concilio di Costanza si è scontrato il Medioevo con l’era moderna – la fede fondata sull’obbedienza collettiva nei riguardi dell’autorità si è scontrata contro la fede conquistata individualmente nella coscienza dell’uomo, la coscienza che cerca il fulcro della verità nella situazione di rottura quando le autorità responsabili fallivano e i punti fermi del vecchio ordine crollavano. In questo sta il tragico malinteso fra Hus e i padri del Concilio: alcuni di essi avevano la  volontà di rinnovare la Chiesa e conservare la vita di Hus, ma chiesero  l’obbedienza, di riconoscere l’autorità del concilio come un’istanza suprema  nelle questioni di fede. Hus chiedeva che gli si dimostrassero i punti in cui era in errore, voleva sentire gli argomenti. Come ha fatto notare Prof. Kejř: „La sua tragedia si è compiuta con  un malinteso: era convinto di andare a Costanza per una disputa scolastica, non per essere giustiziato“. Hus e i padri del concilio  erano convinti di avere la verità dalla propria parte. Dal punto di vista del concilio la verità era leggitimata dal diritto canonico, fra cui i decreti del concilio stesso... Dal punto di vista di Hus era vero ciò che lui riconosceva nella sua coscienza formata dalla fede basata sulla Bibbia. La disputa fra Hus e il concilio in breve si può riassumere così: accogliere la verità rivelata da Dio racchiusa nel messaggio delle Sacre Scritture. Sono abbligato ad accettare la verità promulgata da un‘autorità giuridica ed istituzionale, oppure da quella che procede dal di dentro, dalla voce della mia coscienza? Il concilio lo voleva obbligare ad accettare la prima , Hus era convinto di dover sottostare alla  seconda. 
Perché però portare „la disputa della verità“  fino all’estremo senza via d’uscita „o – o“? Giacché l’azione dell’autorità senza il consenso della cocienza risulata forzata – e la coscienza che non riconosce l’autorità, che non si sottomette all’autorità, in ultima analisi  disprezza la verità!
Un filosofo cattolico un piuttosto originale, Zdeněk Neubauer, si è epresso così: „La verità è problematica. La verità è un problema a sé, è un qualcosa di assegnato, è posta  davanti ad ogni uomo e ad ogni comunità, ogni nazione, ad ogni epoca storica – come un compito creativo, un atto autentico di una decisione piena di rischio“.
La verità, in realtà, è semplice, stupenda nella sua semplicità. Quello che è problematico è decidere, rischiare per essa. Il concilio non ha rischiato per la verità, mentre il Maestro Jan ha rischiato tutto! E per questo è il testimone della verità lui e non i padri del concilio, e non il dotto cancelliere  Gerson della Sorbona di Parigi. Nella decisione di Hus di andare al rogo risuona una sfida che non si può fraintendere:
Melius est bene mori, quam male vivere. E‘ meglio morire bene che vivere male.


[1] Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, Volumen IV, 393-394.  Traduzione italiana dal latino della Civiltà Cattolica (1965 IV 184 s). Il contesto da cui è tratta la citazione si apre in questo modo: «Quando, nella mia patria fu limitata la libertà di coscienza cominciai a constatare le gravi  tentazioni derivanti da questo stato di cose. Osservai nel mio gregge, anche tra i sacerdoti, non solo gravi pericoli per la fede, ma anche gravi tentazioni di menzogna, di ipocrisia e di altri vizi morali che corrompono facilmente un popolo privo di libertà di coscienza. Se tale oppressione di coscienza è deliberatamente diretta contro la vera religione, la gravità dello scandalo è per tutti evidente. Consta, altresì, dall’esperienza che tale modo di agire contro coscienza è moralmente pernicioso, anche quando non ha per scopo il bene della vera fede. Sempre e dappertutto la violazione della libertà di coscienza genera ipocrisia. E si può dire che l’ipocrisia nel praticare la fede fa più male alla Chiesa dell’ipocrisia nell’occultarla, oggi pur molto diffusa».
[2] Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, Volumen I, Periodus prima, Pars II, Congregationes Generales X-XVIII
[3] Sarà proprio il Concilio Vaticano II nella Costituzione Sacrosanctum Concilium ad autorizzare l’uso della lingua del popolo nelle celebrazioni e nella predicazione e ad offrire anche ai fedeli la possibilità della comunione sotto le due specie, cosa quest’ultima che aveva armato la penna degli accusatori di Hus che a Costanza aveva scritto l’opera  Utrum expediat laicis fidelibus sumere sanguinem Christi  in cui sosteneva la necessità per i laici della Comunione sotto le due specie per accedere alla salvezza: “Chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo riscutiterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54)
[4] Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, Volumen I, Periodus prima, Pars III, Congregationes Generales XIX-XXX
[5] Anche il giovane Benito Mussolini ancora esponente socialista scrisse un libretto anticlericale intitolato Giovanni Huss il Verdico, Roma, Podrecca e Galantare Editori 1913. L’opuscolo venne censurato dallo stesso autore nel 1921 e divenne introvabile quando, da duce del fascismo, iniziò la sua politica di riavvicinamento alla Chiesa Cattolica. Il libretto conobbe però edizioni in lingua inglese a New York a cura di società italiane, nel 1929 (John Huss, traslated by C. S. Parker, Ed. A. e C. Boni)  e poi nel 1939 (Jan Huss, the veraciosus, Ed. Italian Book Co.).
A Praga, la Cappella di Betlemme dove aveva predicato in lingua Ceca Jan Hus e dove tutti i cristiani ricevevano – con un dirompente segno di uguaglianza tra chierici e laici – la comunione sotto le due specie (sub utraque), venne ricostruita, paradossalmente, sotto il regime comunista con le fondamenta e quanto restava delle mura originali; anche il regime fruiva della figura di Hus come simbolo del nazionalismo ceco.  La Cappella, infatti, una volta ceduta in gestione ai Gesuiti venne lasciata andare in rovina, fino a quando fu necessario abbatterla e al suo posto vennero costruiti degli appartamenti.
[6] P. De Vooght, Hérésie de Jean Huss, Louvain, Bibliothèque de l’Université, 1960
[7] Denzinger-Schonmetzer, Errores Iohannis Hus, 1201-1230 (627-656)
[8] A. Comi, Verità e Anticristo, L’eresia di Jan Hus, Pendragon 2007, pp. 138-143.
[9] Giovanni XXIII-Paolo VI, Discorsi al Concilio, Ed. San Paolo 1996, p. 47
[10] L’Attività della Santa Sede 1994 p. 197-199
[11] Prima di lui solo due Papi avevano riconosciuto occasionalmente specifiche colpe storiche della Chiesa cattolica e se ne erano assunta la responsabilità: essi sono l’Olandese di lingua tedesca Adriano VI (1522-1523) e Paolo VI (1963-1978). Adriano VI, ultimo papa non italiano prima di Karol Wojtyla, il 3 gennaio 1523 fece leggere da un suo Legato alla Dieta di Norimberga un testo in cui riconosce le responsabilità della corte papale nella crisi della Chiesa che sta portando alla Riforma di Lutero e Calvino: «… che anche in questa Santa Sede, fino ad alcuni anni or sono, sono accadute cose abominevolissime: abusi nelle cose sacre, prevaricazioni nei precetti, e tutto infine volto al male … Noi intendiamo usare ogni diligenza perché sia emendata anzitutto la Corte romana dalla quale, forse, tutti questi mali hanno preso l’avvio; da qui allora avrà inizio il risanamento e il rinnovamento, come da qui ha avuto origine l' infermità». Il Papa Paolo VI, il 29 settembre 1963, nell’Allocuzione all’inizio della seconda Sessione del Concilio Vaticano II, invitava la Chiesa Cattolica alla conversione con riferimento alla “separazione” tra le Chiese. Ma nessun Papa aveva mai chiamato l’intera comunità cattolica a un esame e a un pentimento per l’insieme delle sue colpe

Nessun commento:

Posta un commento